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 « CASTRUM TOTUM INHABITATUM »

Allorche, nel 1395, il feudo di Tecchiena fu acquistato dalla certosa di Trisulti, il suo territorio misuravcirca 12 ettari: una minima parte, quindi, di quella che sarà la sua estensione nei secoli successivi. Il De Persiis non sa spiegarsi come mai il castello, al momento della compera, potesse essere 
 completamente spopolato , ed enumera alcuni fatti e dati che dovrebbero convincere del contrario; ma poi finisce per accettare come buona quella che egli crede la testimonianza del Registrum, un volume in cui erano annotati i possedimenti che la Chiesa romana possedeva nelle province di Campagna e Marittima.
Sorprende però un poco il fatto che al dottissimo storico alatrino non venisse il dubbio sul senso genuino di
« inhabitatum ». 
Esso, infatti, sia nel latino classico che in quello medioevale, significa « abitato» e non già « disabitato, spopolato»!
Quindi, nel 1395 il castello era pieno di abitanti, dal momento che vien detto « totum inhabitatum ». 
Ma ciò non toglie che lo stesso castello, non piu conteso tra i comuni di Alatri e Ferentino, non dovesse subire incursioni, prepotenze e spoliazioni, soprattutto nella prima metà del Trecento, da parte dei famigerati baroni di Campagna, capeggiati dal conte Francesco di Ceccano. C'è invece da credere che Tecchiena nulla avesse a soffrire negli anni
1366-67, in seguito alla insurrezione di città e castelli di Campagna, decisi a non subire le mortificanti limitazioni che le costituzioni del card. legato Egidio Albornoz imponevano alle loro autonomie comunali.
Tecchiena, infatti, anche dopo il suo incameramento da parte della Chiesa romana, era rimasta saldamente unita ad Alatri, che di quella sollevazione si era posta a capo.
Almeno per il Trecento, i rapporti molto stretti esistenti tra Alatri e Tecchiena sono provati anzitutto dagli Statuti, che non solo codificano usi e costumi comuni ad entrambe le comunità, ma sono interdipendenti nello stesso dettato. Ciò vuoI dire che il castello di Tecchiena modellò i suoi Statuti su quelli di Alatri, la cui attuale redazione risale alla metà del Trecento .
Trattandosi di un feudo di non valore strategico, il castello di Tecchiena veniva concesso al maggior offerente, il quale ne entrava in possesso col titolo di castellano. Ebbene, nel 1346, godevano in comune la castellania di Tecchiena i due fratelli Giovanni e Riccardo Ricciardi, cittadini di Alatri. Dopo di essi, ne entrò in possesso Guglielmo Rocchetta, il quale la ottenne in compenso dei servigi prestati alla Chiesa quale vicario delle province di Campagna e Marittima. La mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1376, e a lui successero la moglie,Nanna Rainaldi di Alatri, e i figliuoli, poiche ancora non si erano rifatti di quanto a loro dovuto. Al Rocchetta, infatti, la Camera apostolica doveva ben 2.500 fiorini d'oro, laddove la castellania ne fruttava, al massimo, 30 o 40 l'anno. Perciò la famiglia godeva la castellania ancora nel 1395, e i certosini, entrando in possesso del castello, dovettero liquidare quel che i Rocchetta attendevano di recuperare.
Chi riflette alle disperate condizioni in cui versava la provincia di Campagna (ossia l'odierna Ciociaria) verso la fine del secolo XIV, rimane sorpreso che la minuscola comunità di Tecchiena, composta unicamente di contadini e di pastori, potesse pensare a darsi degli Statuti.
Ma tant'è: nonostante le guerre, i saccheggi e le miserie d'ogni sorta, la vita doveva pur continuare. La speranza nasce dalla disperazione. Per riscattarsi dalla miseria attuale, non c'è altro mezzo che preparare un futuro migliore. Cosa, questa, che, in una comunità, niente può realizzare meglio che buone leggi.

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