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TENUTA COMPATTA E IN ESPANSIONE

I dodici ettari di terreno che nel 1395 formavano il « tenimentum» di Techiena, erano diventati 967 prima del 1874, compresi entro un perimetro di circa 15 chilometri. Ciò era stato possibile in seguito a una continua serie di accessioni avvenute per via di compere, di donazioni e di permute.
Alla base di questo incessante ingrandimento vi fu certamente il desiderio dei monaci di poter disporre d'una tenuta che potesse fornire tutto l'occorrente per i bisogni della certosa; ma allo stesso tempo vi fu il preciso disegno di unificare la tenuta, togliendo cosi, per quanto possibile, le sacche costituite da poderi di terzi, i quali costituivano una funesta e continua fonte di liti, a motivo dell'indeterminatezza dei confini e, cosa ancor
più frequente,per lo sconfinamento di animali al pascolo.
Non è nostra intenzione fare la storia di dette accessioni, ma crediamo che il lettore sarà molto interessato a conoscerne almeno alcune. Il primo grande acquisto, i monaci lo fecero in territorio di Ferentino, dove comprarono, all'inizio del Quattrocento, la con tra da detta « Le Palazza », la quale misurava una superficie quasi pari al primitivo feudo di Tecchiena.
Sommamente vantaggiose per la certosa di Trisulti furono due permute fatte con enti ecclesiastici. Con la prima, del 1486, essi ottenevano dal Capitolo della Cattedrale una selva ed altre terre in cambio di un orto situato in Alatri, entro e presso le mura della città, nel luogo detto « Santa Giusta ».
A questa selva, nel 1518 se ne aggiunse un'altra di rilevante estensione, posseduta già dall'abbazia di San Sebastiano (o monastero di Sant'Agnese, come fu detto in seguito alla dimora che in esso fecero le clarisse nei secoli XIII-XV), il cui abate commendatario la cedette in cambio di un terreno situato in contrada Celerano. (Crediamo che sia piu corretto scrivere cosi, anziche Cellerano o Cellarano, dal momento che il toponimo viene dall'aggettivo « celer », con riferimento, sembra, al corso delle acque, che in quel luogo era rapido, a motivo della grande pendenza). Si tratta, probabilmente, del terreno su cui, fino ai nostri giorni, erano insediati il frantoio di San Bartolomeo e il molino o « mola delle Monache ».
Finalmente, col contributo di altre monache, quelle del monastero di San Pietro, nel 1504, la certosa, con l'esborso di soli 12 ducati, pote annettere alla tenuta altre terre e selve. Le poche monache abitanti sul Monte San Pietro, in quello che nel 1577 diventerà il convento dei cappuccini, si decisero alla transazione e per amor di pace e per la necessità in cui versavano di riparare il loro cadente monastero.
L'ultimo consistente ampliamento della tenuta avvenne nel 1763, allorchè, in seguito ad una lunga vertenza tra il Comune di Alatri e la certosa, questa, con un compenso di 700 scudi romani, riusciva ad aggiudicarsi il versante meridionale del Monte Reo.
Ci si può domandare se valesse la pena di ricorrere ai tribunali e, poi, sborsare tanto denaro (allora si trattava d'una somma più che cospicua) per avere il titolo di possesso del versante ripido, sassoso e privo di vegetazione del detto monte. Ma il movente ultimo era sempre lo stesso: i monaci cercavano di avere confini sicuri, con larghe fasce di zone neutre, cosi da evitare liti con i vicini.

 

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