Per farsi un'idea di quella che fu la vita di ogni giorno a Tecchiena
nei tempi in cui furono in vigore gli Statuti, di cui qui appresso
daremo il testo, bisognerebbe anzitutto indagare circa il significato
della presenza dei certosini nella medesima. Grosso modo, la loro venuta coincide con
l'entrata in vigore delle norme statutarie.
E si trattò d'una presenza consistente per numero, qualificante per il
costume e il modo di vivere, validissima per il contributo dato alla
promozione civile ed economica del vasto territorio.
I certosini furono presenti a Tecchiena come agricoltori, alleva tori di
bestiame (essi che non mangiavano carne!), artigiani: insomma, formavano
una colonia agricola che, col lavoro delle mani, provvedeva ai propri
bisogni, sosteneva la numerosa comunità di Trisulti, e sovveniva in vari modi alle necessità di larghi strati di
poveri.
L'ospitalità dei monaci di Trisulti sopravvive ancor oggi nella
memoria di molti.
Ma, per conoscere come si svolgeva la giornata del converso certosino a Tecchiena, bisognerebbe aprire il ricchissimo archivio della certosa di
Trisulti. E c'è davvero da augurarsi che quelle porte non restino
ostinatamente chiuse, dopo che, in modo tanto drammatico, si sono
serrate dietro le spalle d'uno sparuto resto di certosini, costretti a
partire poveri, umiliati e col cuore spezzato.
Comunque, sappiamo che, nella grangia di Tecchiena, la vita del converso
certosino si svolgeva, dall'aurora fino all'imbrunire, all'insegna del
motto programmatico di san Benedetto « ora et labora », un lavoro,
appunto, da certosino, paziente e perseverante, non su codici da « allumare» ma
su campi da disboscare, arare, seminare, falciare, mietere. Un lavoro
duro, d'ogni giorno, compiuto con attrezzi primitivi, accettato come
mezzo di espiazione, ritmato col canto dei salmi da uomini dal cuore
puro, per i quali il lavoro, oltre che prezzo del pane quotidiano, era
un aiuto per elevarsi a Dio.
E' un capitolo di storia tutto da scrivere. Storia per molti
insospettata, per altri incredibile, per qualcuno, forse, falsa e
inventata. Ma, per chi non è completamente digiuno di ciò che fu il
nostro « medioevo cristiano », essa è una realtà, una di quelle
realtà che è peccato e forse anche stoltezza ignorare, poiche, oltre
tutto, potrebbe aiutarci a riscoprire il senso genuino del lavoro e
della stessa vita umana.
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