Dai pochi cenni alle vicende di Tecchiena negli ultimi cinque secoli, il
lettore può avere riportata l'impressione che esse furono soprattutto,
o addirittura soltanto, una catena interminabile di contestazioni e di
liti.
Ma, è risaputo, le vertenze giudiziarie e i contratti occupano un posto
privilegiato negli archivi, hanno una voce tanto grossa da falsare
l'immagine vera di quel che fu.
Si, se non si fa attenzione, i documenti che a noi sono giunti possono
dar l'impressione che uomini e istituzioni del passato non si occuparono
di altro che di brighe e di baratti. Certo, questi vi furono, dal
momento che sono documentati; ma, prima di essi, vi fu la vita di ogni
giorno, fatta di nascite e di morti, di sposalizi e di feste, di
accadimenti della vita agricola quali la semina, la mietitura, la
vendemmia; e, stante che nella tenuta viveva ed operava una numerosa
colonia di monaci, v'era ogni giorno, prima durante e dopo il lavoro, il
tempo riservato alla preghiera. C'era, insomma, la vita di ogni giorno:
anche se monotona, dura, vissuta in un ambiente chiuso e sempre uguale,
era pur sempre vita, con le sue mète e le sue gioie.
I monaci non lavoravano tutti i campi del vasto territorio di Tecchiena,
quasi mille ettari, compresi i monti e i boschi. Essi vi trovarono già una popolazione, dal momento che,
alla loro venuta, il castello era abitato, e seguitò ad esserlo per
qualche tempo ancora: crediamo fino al momento in cui il popolo,
sentendosi ormai sicuro, segui l'esempio dei monaci, che avevano
costruita la loro casa alle falde del Monticchio. Abbandonarono le
anguste casette del castello e costruirono a valle i loro abituri,
presso i campi che lavoravano e i boschi e i prati nei quali il loro bestiame poteva liberamente pascolare
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Agli antichi abitanti del castello altri se ne aggiunsero, provenienti
dai comuni limitrofi. Gli Statuti li invogliavano a venire ad abitarvi.
I nuovi residenti potevano liberamente abbattere alberi nella selva per
avere il legname necessario a costruirsi la casa (questa, nel testo
statutario, è detta anche « camarta » o « camerata », ciò che
indica un tugurio di legno e paglia, una capanna) in cui abitare
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legnare nei luoghi incolti
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cacciare
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Non soltanto chi vi fissava la dimora, ma anche chi a Tecchiena veniva
unicamente per lavorare, senza stabilirvi la residenza, poteva condurre
seco alcuni capi di bestiame e lasciarli liberamente pascolare nei
terreni di uso comune
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Tra questi lavoratori, che potremmo dire stagionali, erano particolarmente numerosi
gli Alatrini, tanto che otterranno il privilegio di avere giustizia in
una apposita sede, situata entro le mura cittadine
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Questi allettamenti e facilitazioni per attirare gente a Tecchiena,
lasciano percepire un fatto molto importante. In secoli in cui la fame e
le carestie, più che un terrificante spettro, erano una tristissima
realtà quasi sempre attuale, possiamo esser certi che a Tecchiena la
gente non soffri la fame. Grano, frumento ed ogni specie di cereali
crescevano copiosamente nei suoi fertili campi, come, del resto, avviene
ancor oggi. I vastissimi boschi fornivano ghiande, castagne
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e selvaggina in abbondanza; gli animali domestici erano
numerosi; abbondavano soprattutto i porci, dannazione e delizia di
privati e di comunità nei secoli scorsi. Ma, se era fastidiosissima la
loro presenza in città e borgate, a motivo dei danni che cagionavano
alle culture
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nondimeno, gente ricca e povera ogni giorno mangiava, o per lo meno
condiva, con carne di maiale. E, crediamo, senza l'ossessione che l'uomo
moderno ha per i grassi saturi, poiche il rude e sano lavoro dei campi
aiutava a smaltirli!
Se non vi fosse stata abbondanza di derrate, potenziale e di fatto, non
si spiegherebbero le industrie usate per attirare nuovi abitanti nel
vasto comprensorio, dove per tutti v'era pane e companatico, a
condizione che non mancasse un po' di fantasia di lavorare!
Per stimolare l'impegno a
produrre, il legislatore si era dato pensiero di fissare un minimo
necessario perchè uno potesse rilevare un campo: egli doveva coltivarvi
per lo meno trecento ceppi di erbaggi
33.
Questa gente non aveva grossi problemi, almeno se dobbiamo tener conto
del dettato degli Statuti. Sembra che la violenza a Tecchiena non fosse
di casa, poiche negli Statuti non si insiste eccessivamente sul penoso
tasto delle percosse e delle ingiurie. Multe salate, peraltro, sono
comminate contro chi se ne fosse reso colpevole
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In particolare, è vietato al padrone di percuotere il servo
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: ma la multa veniva condonata, nel caso che offeso ed offensore
facessero pace entro tre giorni.
Anche le intemperanze verbali costavano care; ma sembra che non per
questo i rudi Tecchienesi sapessero rinunciare al gusto matto di gridare
all'avversario paroline che il legislatore, per scrupolo di chiarezza e
per non offrire via di scampo ai colpevoli, cita in lingua vernacola: «
renaluso, homicidiario, latrone, derobbatore, cane, puttana, menti per
li denti» 8
Tutto al maschile, pure il « renaluso » ossia « rognoso »; unica
accezione è il cavalleresco complimento che, da sempre e ovunque, si fa
a una donna odiata e sulla cui condotta non c'è proprio niente da
ridire! Già, perchè una donna malfamata era considerata persona umana, e quindi soggetto di diritto,
appena nella misura del cinque per cento!
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Gli Statuti, invece, insistono moltissimo sui reati contro il
patrimonio, sia a motivo dei danni cagionati da bestie incustodite o di
proposito fatte entrare in campi coltivati
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oppure per inquinamento delle scarse fonti di acqua
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sia per i furti in genere oppure di
attrezzi agricoli, di legname, di fieno e paglia, di covoni, di
frutta
(rubriche
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24,
28.
Una multa pesantissima, di 40 libbre (in moneta corrente, potrebbe
equivalere a un milione di lire!), era comminata a chi rubasse del
letame
40.
C'è da pensare che il fertilizzante biologico fosse tanto prezioso da far
cadere in tentazione più d'un agricoltore; e, per dissuader lo, non vi
era altro rimedio che una solenne stangata!
Dal testo degli Statuti vengono pure a galla astuzie non del tutto
innocenti, come quella del pastore che, per sfamare il gregge, scuoteva
gli alberi carichi di frutta
15,
e atti di vandalismo praticati da gente che, per odio,
abbatteva oppure scortecciava gli alberi da frutto
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In questi, come in altri casi di reati commessi « pensate »,
e cioè di proposito e per cattiveria, le multe, già molto forti,
venivano inesorabilmente raddoppiate
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In altri casi, però, il legislatore si dimostrava molto
comprensivo.
Per esempio, era stabilito che, di notte, le bestie non fossero lasciate
vagare liberamente ma venissero rinchiuse nella stalla o in un recinto
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Si voleva con ciò impedire che recassero danno alle culture, e,
crediamo, anche per evitare che qualcuno fosse messo in tentazione di
rubarle. Ora, si dava il caso di pastori che, per sicurezza e per non
contravvenire alla suddetta prescrizione statutaria, aprissero la stalla
o il primo luogo chiuso che trovassero abbandonato e ve le cacciassero
dentro. Ebbene, essi erano passibili di multa per violazione di
domicilio, ma solo nel caso che il padrone del ridotto avesse reclamato
giustizia
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Questa gente che la necessità aveva spinto ad uscire dalla città, dove
avrebbe fatto la fame, aveva un suo preciso credo religioso. Il
legislatore ne tratta come di cosa ovvia. Per questo ribadisce l'obbligo
di non compiere opere servili nei giorni festivi
29,
e commina gravi multe pecuniarie contro i bestemmiatori
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Lasciando da parte le considerazioni semi serie che si
potrebbero arzigogolare sul fatto che Dio e la beata Vergine vengono
posti sullo stesso piano, il curioso accostamento prova quale posto la
pietà cristiana riservasse alla devozione verso la Madre di Dio.
Del resto, la religione permeava di se cosi intimamente la vita di ogni
giorno, che le ricorrenze dell'anno liturgico servivano a scandire il
calendario degli accadimenti della vita agricola
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Un'ultima osservazione, che forse può sembrare una fantasia, ma tale,
crediamo, non è. La giustizia veniva resa la domenica, dentro oppure
accanto ad una chiesa
46. Quale la
cagione? Certo, anzitutto perchè in quel tempo, e fino a non molti anni
fa, tutti partecipavano alla messa festiva. Quindi, si abbinavano due
atti rilevanti: la santificazione della festa e l'amministrazione della
giustizia, con la conseguenza che questa veniva resa pubblicamente:
tutti erano informati, ognuno poteva darvi il suo contributo, il
delinquente era ammonito coram populo.
Ma non si può escludere che il legislatore avesse avuto di mira anche
il fattore psicologico. Dopo l'ascolto della santa messa, durante la
quale ci si era trovati, con la coscienza nuda, dinanzi al giudice
eterno, il delinquente era più disposto ad accettare l'ammenda, e
l'offeso meno accanito nel recriminare.
E gli Statuti avevano come fine ultimo non la vendetta, ma la
pacificazione
11 poichè solo nella
pace si può vivere e costruire.
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