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UN COMUNE MANCATO

Al termine di questo nostro discorso, che in nessun modo voleva offrire una storia di Tecchiena, ma soltanto introdurre alla lettura degli Statuti che per più secoli ne ordinarono il viver civile e furono alla base della sua notevole importanza economica, s'impone una domanda.
Nei secoli XII-XIII, il castello di Tecchiena non differiva gran che da quelli di Boville, Fumone, Porciano, Torre Caietani, Trivigliano, Vico e Collepardo, i quali ebbero l'onore di essere promossi a comuni. Perchè a Tecchiena mancò un tale riconoscimento?
E' un quesito difficile, pieno d'insidie e forse anche suscettibile di essere inteso malamente: eppure allo storico deve esser consentito di porselo, tenendo nel debito conto situazioni ed eventi che poterono influire sulla mancata promozione. I motivi furono molteplici, e qui ci limiteremo a segnalare quelli che, a nostro avviso, furono determinanti. Anzitutto, ci sembra si possa affermare che le gelosie dei comuni limitrofi di Alatri e Ferentino impedirono un autonomo sviluppo del castello. 
La ombrosa rivalità delle due città continuò ad influire negativamente sulla  sua crescita, anche dopo che esso fu dichiarato feudo della Chiesa romana.
La situazione avrebbe potuto essere sbloccata, qualora a capo del castello si fosse posta una famiglia potente, magari uno dei tanti conti e baroni che, soprattutto durante il Trecento, infestarono la provincia di Campagna. Ma, c'è da crederlo, essi non trovarono che il giuoco valesse la candela. Vogliam dire che non reputarono per se stessi vantaggioso sfidare le ire dei comuni limitrofi e della Chiesa romana, per impadronirsi d'un misero borgo non fortificato, con pochi abitanti, scarso di acqua, circondato di boschi.
La venuta dei monaci certosini, poi, fini per cristallizzare la situazione, per tutti i cinque secoli che vi rimasero. Abbiamo visto come essi lasciassero che le contravvenzioni agli Statuti venissero giudicate in Alatri, con l'impiego, se necessario, del braccio secolare del Comune.
Anzi, a propria discolpa per reati commessi nel comprensorio di Tecchiena, proclamavano che la vigilanza contro i malfattori spettava ai comuni di Alatri e Ferentino, poiche la grangia non disponeva di sudditi e vassalli da poter armare, ma soltanto di pacifici coloni impegnati nell' agricoltura e nella pastorizia.
Si, alcuni campi e selve della tenuta erano compresi nel territorio di Ferentino; ma il castello e la maggior parte del vasto possedimento dei monaci facevano parte del comune di Alatri. Mai i monaci tentarono di rompere, o anche solo alterare, questo rapporto.
 Citiamo un particolare, oggi forse insignificante ma che nei secoli passati era della massima importanza, poichè sarebbe stata inconcepibile una comunità autonoma senza un proprio santo patrono. Ebbene, a un certo momento non si ha più notizia della primitiva chiesa del castello, già intitolata a San Silvestro. I monaci, peraltro, ne avevano costruita un'altra, per se e per il popolo, incorporandola alla sede della grangia. Com'era da attendersi, essa portava, e porta ancora, il nome di San Bartolomeo, l'apostolo a cui è intitolata la certosa di Trisulti e che darà il nome anche alla chiesuola dell'ospizio di Porta Portadi.
Orbene, san Bartolomeo non diventerà mai il patrono di Tecchiena, e gli Statuti seguiteranno ad inculcare la celebrazione della festa di san Sisto, patrono di Alatri  29, rinunciando con ciò stesso ad averne uno proprio, che sarebbe stato il simbolo e il garante dell'autonomia del castello.
Sulla mancata promozione di Tecchiena a comune dovette influire anche il fatto della rovina del castello.
Il già ricordato notaio Niccolò di Alatri, nella seconda metà del Quattrocento, osò addirittura reclamare la decadenza degli Statuti, motivandola, appunto, con l'avvenuta rovina del castello, quasi che essi fossero legati a un edificio, anziche a una comunità. Da un punto di vista giuridico aveva torto, e la sua tesi non ebbe successo; ma non è privo di significato il fatto che egli potesse avanzare una tale tesi: vuol dire che cosi si poteva pensare, sia pure a torto; ed ognun sa che sulla evoluzione storica non influiscono le sole forze o cause ragionevoli.Tecchiena non fu comune autonomo: ma ciò non le impedi di essere una comunità efficiente, organizzata e prospera, nel cui comprensorio troviamo persino un ospedale, quello di San Leonardo di Casa Genzola 10. Ed è precisamente per questa sua condizione di villaggio agricolo, non di Comune, che i suoi Statuti hanno un valore particolare. Essi testimoniano il bisogno di forme associative operanti al di fuori della città-stato, anche nel settore agricolo, cosi come già da tempo avveniva nel campo della religione e delle arti.
Nel nostro caso, infatti, si tratta precisamente degli Statuti di una comunità rurale, che ha coscienza dei propri limiti e si organizza autonomamente, al di fuori del complesso schema della vita comunale, senza le spinte che potevano venire dal bisogno di difendersi contro le potenti consorterie del Comune, e tanto meno perchè da esse strumentalizzata.
Era il mondo agricolo che si organizzava, un mondo abbandonato a se stesso ma anche padrone del proprio destino, e consapevole della insostituibile funzione e del proprio peso reale per la sopravvivenza, prima ancora che per il progresso, di piccole e grandi comunità cittadine, organizzate con diritti sovrani ma con bisogni elementari ed impellenti che soltanto il mondo agricolo poteva soddisfare.
Gli « homines de Tecchena» che si diedero gli Statuti, seppero rinunciare al miraggio della vita cittadina, per non far la fame e rimanere veramente liberi: e il loro esempio è un monito per tanta gente della nostra epoca, che ha come meta la grande città, dove finisce per vivere delusa ed emarginata. A Tecchiena, la secolare presenza dei certosini caratterizza anch'essa questo sviluppo, lento e senza forzature,come sempre capita in tutto ciò che opera dalla base, nella libertà.
C'è perciò da augurarsi che questi aspetti della vita agricola associata - di cui gli Statuti di Tecchiena ci offrono un modello raro e significativo - siano meglio studiati, per far luce sul contributo che la gente dei campi ha generosamente dato per il progresso della civiltà.

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